Rinnovabili, Italia fanalino di coda: la crescita si è fermata

L’Italia volta le spalle alle rinnovabili e al fotovoltaico in particolare. Mentre la potenza installata del solare negli altri paesi europei, negli ultimi anni, è continuata a crescere – soprattutto da quando non sono più necessari gli incentivi per garantirne la convenienza economica – in Italia ha subito una brusca frenata. Causando anche una fuga di capitali, competenze e tecnici verso altre nazioni.

Solo fino al 2014, il nostro paese era tra quelli dove le rinnovabili solari erano più cresciute. Anche favorite da una politica di incentivi fin troppo generosa in una prima fase, poi ridimensionati. Ora che è stata raggiunta la “parità economica” con altre fonti e nonostante gli appelli alla riduzione di emissioni di CO2, l’Italia è rimasta al palo o quasi: la potenza aggiuntiva media annua dal 2014 al 2018 è stata di 384 MWp (unità di misura del fotovoltaico), mentre nel solo 2108 in Germania sono stati installati 2,9 GWp/anno, in Turchia 1,6 GWp, in Olanda 1,5 GWp, in Francia 873 MWp, in Ucraina 803 MWp.

Le nuove installazioni, in Italia, non riescono a coprire le  riduzioni annuali di produzione: in altre parole, vanno in pensione gli impianti più vecchi e meno efficienti ma i nuovi non sono sufficienti a garantire la stessa produzione. Tutto questo mentre le emissioni di anidride carbonica sono in aumento: nel 2019 l’Ispra prevede salgano dello 0,8% rispetto all’anno nonostante il Pil sia ancora negativo (-0,1%).

Tutto ciò fa parte di un dossier di Italia Solare, associazione indipendente che raccoglie circa 800 soci tra operatori, installatori, società di progettazione o studi di ingegneria nonché produttori di componenti e che martedì terrà un incontro pubblico a Roma per parlare proprio di questi temi.

Secondo i documenti di Italia Solare – presentati anche in una audizione in Parlamento –  ci sono una serie di ragioni, burocratiche e politiche, alla base della frenata del fotovoltaico. Così riassunte: “L’impossibilità per gli impianti fotovoltaici di competere ad armi pari con il termoelettrico, decisamente favorito dal punto di vista normativo: ci riferiamo a regole del mercato elettrico che non stanno al passo con lo sviluppo dei mercati che si sta registrando in altri paesi europei”. Se ne deduce – secondo Italia Solare – che “rinnovabili ed efficenza non sono state una priorità degli ultimi governi”, nonostante i Cinquestelle ne avessero fatto una loro battaglia in campagna elettorale.

Scendendo nel tecnico l’associazione contesta la riforma delle bollette elettriche che premia chi consuma di più e non l’autoconsumo di rinnovabili, lo stop ai meccanismi dei certificati bianchi per premiare l’efficienza (dovuti, però all’uso improprio che se ne è fatto per qualche anno), nonché “l’assenza di impegno da parte dei governi che negli ultimi 2-3 anni, da quando il fotovoltaico ha raggunto la parity market, per risolvere i problemi delle autorizzazioni dei nuovi impianti fotovoltaici, bloccate per anni nelle Regioni”.

Ultimo, ma non meno importante, la questione legata al cosiddetto “capacity market”. E’ un provvedimento con cui il governo ha messo all’asta lotti di produzione di energia, garantita da grandi operatori, da utilizzare quando le rinnovabili – intermittenti per definizione – non sono in grado di tenere in equilibrio il sistema elettrico. In soldoni, per evitare che si corra il rischio di un black out.

Secondo Italia Solare, il provvedimento non rispecchia la direttiva europea da cui è nato: “Il capacity market è uno strumento di ultima istanza, se gli altri strumenti e i sistemi di accumulo in particolare dimostrino di non funzionare. Questo capacity va invece nella direzione opposta”. Ma l’accusa dell’associazione è ancora più circostanziata: i governi hanno subito le pressioni dei produttori e e delle utility che mettono a disposizione le loro centrali a gas per garantire la “capacita’”, spesso a partecipazione o controllo pubblico. “Pur riconoscendo e rispettando l’eccellenza tecnica delle grandi aziende partecipate è evidente che gli interessi di queste aziende non sono sempre allineati con gli obiettivi del passaggio da un modello energetico centralizzato e fossile a un modello basato sulle rinnovabili. mentre servirebbero governo indipendenti in grado di governare davvero la transizione energetica”.

Fonte: Repubblica